Morte, dolore, fede, speranza: quattro questioni che intrecciandosi nei giorni del lutto aumentano il desiderio di capire e la sete di infinito, affinché il nostro orizzonte d’amore non si spenga in un buio di amarezza, di rabbia, di disperazione.
Spesso chi vive un lutto si sente come un lebbroso: nella società ha la sensazione di non avere più posto con il proprio dolore, gli amici cambiano strada in molti modi perchè non sanno come affrontare il tema della morte e del dolore, oppure si sentono impotenti, non sanno “cosa dire”.
Consolare allora assume il significato non di “cosa dire” ma “come stare” vicino a chi soffre. Stare in un silenzio che ascolta, entrando così nella sua solitudine e condividendone il peso, accogliendo le sue lacrime con il regalo della propria vicinanza.
Consolare non consiste nel fermarsi un attimo, nel mettere la mano sulla spalla e andare via come fanno il sacerdote e il levita che passarono oltre (Luca 10, 29-32). Non si può capire la consolazione se la separiamo da Cristo: Egli è l’unica risposta alle sofferenze, ai dolori, alla schiavitù e alla cecità degli uomini.
Tuttavia ci rendiamo conto che talvolta per prestare conforto si indica l’esempio delle sofferenze patite da Cristo, senza considerare che spesso chi perde un figlio, un coniuge, un genitore non vuole paralleli così impegnativi, anche perché si sente in qualche modo tradito ed abbandonato da Dio; spesso la fede si paralizza, perde la capacità di pregare, di fidarsi e affidarsi a Dio Padre, diventa muta. Il Salmo 69 grida a Dio tutta questa tristezza ed angoscia.
Morte e vita eterna: il nostro caro varca la soglia della morte portando con sé una parte della gioia e dolore condivisa con chi resta: ma dove va con la morte, come sarà la beatitudine del Paradiso, cosa significa rimanere per l’eternità a contemplare il volto di Dio…? In Giovanni( 4,1 e seguenti) ci può consolare l’immagine della casa che Cristo ha preparato per noi ed il nostro caro che ci precede la orna e l’addobba con la gioia ed il dolore che ha condiviso con noi in vita. Così quando anche noi saremo con lui la troveremo già preparata ed addobbata. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza terrena fatta di spazio e tempo: finito il nostro tempo terreno vivremo la vita eterna dove non ci sarà più spazio e tempo; possiamo avere solo una pallida idea di che cosa significhi se pensiamo a quegli istanti in cui il tempo sembra immobile. Allora intravediamo cosa può essere l’eternità: non un tempo lunghissimo e noioso, ma il tempo realizzato nella sua pienezza. “Come un attimo diventato eterno”.
Dunque la consolazione che deve arrivare al cuore della persona, nel suo intimo, è qualcosa di più delle parole. La consolazione autentica esige da chi consola disponibilità a condividere la sofferenza.
Nella Bibbia, Dio consola il suo popolo: “Io, io sono il tuo consolatore” (Isaia 51,12). Chi esercita questo compito sa che la forza e le parole vengono dall’incontro quotidiano con Cristo nella preghiera. Dio è passione, compassione e consolazione per l’uomo. Lo stesso Gesù è la consolazione totale che Egli stesso offre all’umanità, senza esclusione di nessuno: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò” (Matteo 11, 28-29).
E' per questo che il nostro parroco assieme alla comunità parrocchiale ci dice: “Io ci sono, voi siete la mia famiglia”, per dare a chi soffre speranza e amore.
Annunciamo allora che la morte non è l’ultima parola, ma Gesù Cristo ha vinto la morte! Annunciamo a chi è smarrito che i propri cari vivono una dimensione nuova, sono angeli in cielo e sulla terra e che sono accanto a noi per comunicarci l’amore e ci invitano a donare amore, quell’amore che supera ogni barriera, che riempie ogni vuoto; quell’amore che unisce la terra al cielo. I nostri cari in cielo desiderano che la nostra fede cresca, e che la nostra profonda sofferenza per il loro distacco, possa essere illuminata dalla luce della Risurrezione e della fede. Ma per offrire questa sofferenza a Dio ci vuole tempo, attesa, discrezione.
Solo re-imparando a fare nuove esperienze di preghiera, a mettersi in relazione con se stessi, a comunicare di nuovo con gli altri ci si metterà in relazione con Dio che è amore, consolazione e guarigione.