Quale modo migliore per passare i primi giorni del nuovo anno se non quello di trovarsi tra giovani e cominciare un nuovo cammino che passa attraverso le terre della Toscana, il bosco della CULTURA e la luce della FEDE? E’ proprio qui che noi giovani della parrocchia di Preganziol, impegnati a vario titolo al suo interno con ruoli per lo più educativi, abbiamo avuto l’opportunità di vivere un’esperienza formativa forte d’ascolto e riflessione entrando a contatto con una personalità educativa innovatrice, grande esempio di coraggio determinazione e amore come quella del Priore di Barbiana (Don Milani).
Pochi si soffermano sul valore delle azioni di Don Milani, le sue vicende personali con la Chiesa e la giustizia di certo fecero molto scalpore, ma cosa fece in realtà questo pretino di 31 anni inviato nella sperduta parrocchia di Barbiana del Mugello che contava allora circa cento anime?
Spinto da una forte fede nella Parola, visse pienamente la sua vocazione di sacerdote e questo gli permise di non arrendersi di fronte alla grande emergenza del suo tempo: la differenza culturale tra classi sociali
“a noi non interessa tanto di colmare l’abisso di ignoranza, quanto l’abisso di differenza . (…) Non si tratta infatti di fare di ogni operaio un ingegnere e di ogni ingegnere un operaio. Ma solo di far si che l’essere ingegnere non implichi automaticamente anche l’essere più uomo ”.
(“Esperienze pastorali” Don Milani 1958)
Con questo intento decide di risollevare il popolo dei contadini e degli operai dalla propria condizione di svantaggio fornendo ad essi la possibilità, mediante una cultura a trecentosessanta gradi, di formarsi una coscienza critica capace di affrontare la società, di difendersi dai soprusi dei potenti e di far valere i propri diritti.
A Barbiana Don Lorenzo trovò un terreno fertile ma accidentato: i bambini della sua nuova parrocchia da togliere dalla loro ignoranza. Le famiglie un po’ alla volta acconsentono, intuiscono l’importanza di quello che il Priore vuole fare: dare importanza alla vita. Perché “I CARE”, scritto a lettere cubitali sulla porta della classe, è ciò che Don Lorenzo vuole per quei bambini: mi interessa, imparo perché me ne importa e, quindi, la mia vita acquista valore perché me ne interesso.
Da qui nasce la scuola di Barbiana che non ha un programma scritto a cui attenersi, ma piuttosto sfrutta ogni occasione per imparare tutto il possibile. Gli amici di Don Lorenzo sono da lui costretti a insegnare qualcosa del loro lavoro ai bambini, una sorta di codice d’accesso per entrare a Barbiana perché “non c’è tempo da perdere in chiacchiere”.
Convinto dei valori trasmessi dal Vangelo consegna a questi ragazzi gli strumenti per emergere dalla loro condizione, per crearsi un futuro e non per subirne uno imposto dalla loro ignoranza o dalla volontà dei più ricchi, pur mantenendo lo sguardo sempre attento ai poveri e alle ingiuste disuguaglianze.
L’attenzione rivolta al singolo ragazzo, la sua perenne coerenza ai dettami del Vangelo e della Costituzione, uniti all’importanza data alla conoscenza dei fatti di attualità fanno del suo un metodo tanto in anticipo sugli anni da non essere ancora raggiunto, rendendo i suoi allievi persone capaci di misurarsi alla pari con gli strati alti della società e avvantaggiate grazie alla concretezza della cultura ricevuta e alla profonda consapevolezza del proprio ruolo di cittadini.
La sua scuola può essere considerata una “SCUOLA DI VITA PER LA VITA”.
Ogni bambino deve essere in grado di interiorizzare tutto ciò che viene insegnato per poi formare una capacità critica che possa guidarlo nel corso della vita. Questo era l’intento di Don Milani, ed è ciò che noi educatori dobbiamo tener presente nelle nostre attività.
Se ciascuno di noi è chiamato a donare ciò che ha ricevuto, è nostro preciso compito trarre il più possibile da quanto Don Milani ha testimoniato; e come farlo se non diventando a nostra volta esempi di vita mettendo in pratica ciò che, mediante questa esperienza, abbiamo appreso? Don Milani formava cittadini capaci e critici, e noi? Poniamo questo al centro delle nostre attività? O, ancor più, sappiamo essere noi stessi cittadini consapevoli?
Riflettiamo dunque su come stiamo conducendo la nostra vita e su come vorremmo condurla: un uomo solo seguendo la vocazione e usando i talenti che Dio gli ha affidati è riuscito a lasciare un segno forte che ancora oggi è capace di smuovere anche le coscienze più ferme.
Pensate, se ognuno di noi divenisse terreno fertile, dove far germogliare e crescere il seme piantato dal Signore compiendo così la sua missione, potremmo davvero lasciare il mondo un po’ migliore di come ci è stato affidato.
Michele, Silvia, Barbara ed Elena